Un pugnale con le armi di Francesco I di Valois-Angouleme

20/02/2014

L'analisi

Il pugnale che stiamo presentando è un unicum, almeno stando alle poche persistenze degli apparati guerreschi appartenuti al re Francesco I di Francia.
Gli unici elementi dell’apparato sicuramente appartenuti al sovrano che ci siano pervenuti sono la bellissima staffa in ferro acciaioso, di probabile manifattura milanese del secondo decennio del XVI secolo (attualmente esposta nella collezione del Musèe de l’Armè a Parigi) e la magnifica spada composita recuperata da Murat per ordine di Napoleone stesso in Spagna nel 1808, dopo che era stata presa come bottino di guerra in seguito alla sconfitta maturata a Pavia nel 1525, sempre presente nella collezione del museo parigino.
Dall’analisi di questi due oggetti emerge la natura composita della spada, che risulta formata da una lama in acciaio attribuita a Mastro Cataldo (armaiolo originario di Villa Basilica nella lucchesia, ma operante nella Milano della seconda metà del XV secolo) realizzata probabilmente nell’ultimo ventennio del XV secolo, accoppiata con una impugnatura in acciaio decorato a vermeil le cui incisioni e smaltature risalgono a prima del 25 gennaio 1515, data in cui l’impresa d’anima di Francesco di Valois-Angouleme è stata caricata della corona gigliata degli Anjou, simbolo della acquisita regalità francese.
La staffa invece, così come il pomello del nostro pugnale, riporta l’impresa d’anima personale del Valois già coronata come re di Francia.

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Il simbolo che costituisce l’impresa d’anima del Valois è una salamandra che emette fiamme dalla bocca o che cammina tra le fiamme, retrospiciente o meno, e la si trova raffigurata copiosamente nei suoi castelli e palazzi di svago sulla Loira.
Nell’immaginario medievale si riteneva che la salamandra fosse incorruttibile dal fuoco e la si immaginava addirittura vivere nei laboratori dei fabbri a contatto colla forgia, per traslato si addice a natura non incline agli ardori irrazionali ma di grande coraggio ed invulnerabilità.
La tipologia del pugnale in esame è detta a “rondelle”, per il tipo di guardia dell’impugnatura (semplici rondelle proteggono, poco, la mano, senza elementi in aggetto notevole come quelle a crociera), ed è una tipologia che ha avuto molto favore  a cavallo tra il XV secolo e l’inizio del XVI secolo,  in area germanica, nelle Fiandre ed in parte in Francia. Meno diffusa nella penisola italica, se ne conoscono esemplari prodotti per l’esportazione nelle aree di maggior favore, soprattutto dagli atelier di Milano e di Venezia.
La tipologia della lama si avvicina ai quadrelli sfondagiaco (usati per forare le protezioni in cotta di maglia e capaci di penetrare anche in protezioni di pezze di acciaio meno spesse) con i profili dei quattro lati leggermente concavi in maniera da fungere da scola sangue e per produrre ferite più difficilmente rimarginabili chirurgicamente, è quindi una tipologia che si addice bene ad una guarnitura da battaglia, più che ad un esemplare da semplice ostentazione, dove l’aspetto della sua usabilità ed utilità è meno sentito.
Nonostante ciò tutta la lama è decorata con un rimesso a filo d’oro continuo che rappresenta decorazioni floreali interconnesse a tre tondi con busti di uomini raffigurati col cappello a berretto schiacciato tipico delle figurazioni di Francesco I;  con questo stesso indumento egli appare in ritratto di profilo al forte su uno dei due profili maggiori della lama:

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Il sistema di decorazione scelto, seppur incapace in sé di raggiungere altissimi risultati nella resa di angoli acuti, è tra i più difficili da ottenere richiedendo una grande abilità nell’incidere il solco nell’acciaio della lama già forbita e nel seguirlo con un filo in oro a caldo a differenza del ben più diffuso sistema d’incisione ad acidi e doratura successiva, sistema che nel primo venticinquennio del XVI secolo diventa quasi standard per armature ed armi di alta qualità.
Tale scelta è forse sintomo di un’alta capacità dell’artigiano che si adatta ad una committenza tanto prestigiosa quale quella di un re, e tale impressione è confermata dal fatto che l’artigiano si firma con un rimesso in rame a forma di martelletto da orafo coronato (tale simbolo, seppur di probabile fattura milanese - la coroncina ricorda quella apposta per la garanzia di esportazione da parte degli armaioli della Milano ducale - si avvicina molto ad uno descritto dal Blair come appartenente ad un armaiolo della Gilda di Bruxelles ).
Allo stato delle conoscenze e delle memorie pubblicate non si conoscono altri esemplari di pugnale con tale tipo di decorazione personale; l’impresa d’anima infatti era il simbolo proprio del personaggio, non in quanto ricoprente una carica quale quella regale, bensì una esternazione di qualità vere o presunte della persona, e veniva usato anche senza alcuna parsimonia ma solo per decorare oggetti di diretta proprietà del signore, quasi mai lo si riscontra su doni o su oggetti anche del suo seguito immediato di gentiluomini.
I materiali usati, buon ferro acciaioso che non presenta grandi segni di ossidazione, ma solo qualche segno di usura sul filo della lama, argento vermeil (fatta salva una cappetta in ferro di restauro che si trova tra il collo ed il corpo della salamandra del simbolo) e zanna di tricheco per l’impugnatura, filo d’oro per la decorazione della lama, lasciano trasparire un livello di committenza tra i più alti del tempo, e giustificano l’orgogliosa manifestazione della capacità del “produttore” che si esprime in un bel marchio incuso alla fine del forte.

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Si ravvisa dunque come molto probabile l’appartenenza di tale oggetto alla dotazione di una guarnitura da campo del re Francesco I di Francia, eseguita o a Milano o nelle Fiandre a ridosso del 1525, o per meglio dire nel periodo che va dal 1515 al 1525, con questa ultima data che potrebbe slittare verso il 1530 ma non molto oltre vista la scomparsa di questa tipologia di arma dalle dotazioni dei gentiluomini d’arme dopo le guerre d’Italia (addirittura i quadrelli a 4 o a 3 lati vennero banditi dai campi di battaglia per la loro “inumanità” nel produrre ferite non rimarginabili dopo questi eventi stessi).
L’insieme è qui rappresentato da un’immagine completa del pugnale, che ne denota una ricercatezza nel rapporto tra forma e funzione che finisce per rendere giustizia ad entrambe.

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Gabriele Pratesi